Voleva un ristorante aperto davvero a tutti, senza “discriminazioni alimentari”, e ci è riuscito. Nel suo “Paleosette” ad Arona, lo chef Ferdinando Moia ha messo l’esperienza di quarant’anni di lavoro in una nuova concezione di menù senza glutine e senza lattosio, ideale per chi ha intolleranze e buono per chiunque: “Siamo tutti uguali e voglio che alla mia tavola ognuno possa gustare ogni piatto, dal primo antipasto all’ultimo dessert. Odio le limitazioni”.
Quel primo risotto con il nonno
Ha cucinato per la prima volta quando aveva otto anni ed era ai fornelli con il nonno che gli disse: "Vieni, ti faccio vedere come si fa il risotto... lo facciamo insieme" e ancora oggi i primi piatti sono i suoi preferiti. Anche papà Renzo ha sempre assecondato la sua passione per la preparazione del cibo e quando passavano lungo la riviera del Lago Maggiore gli diceva: “Lavorerai nelle cucine di questi grandi alberghi” ed è stato così. Per Ferdinando Moia la vocazione per la vita da chef è nata prestissimo, continua ancora oggi dopo quattro decenni e si esprime in tante attività diverse. Sempre nel segno di una cucina aperta, inclusiva, allegra.
“Paleosette” si trova nel centro di Arona, in via Paleocapa 7 come suggerisce il nome, ed è stato inaugurato il 5 dicembre del 2021, in ricordo della stessa data di 35 anni prima, quando Moia ha aperto la sua prima gastronomia a Castelletto Ticino con pasta fresca e ravioli. Dopo quel risotto di bambino, infatti, lo chef Ferdinando ha frequentato la Scuola Alberghiera di Stresa e ha cominciato le stagioni nelle cucine degli alberghi. Era determinato e appassionato e allo studio alternava il lavoro a Villa Carlotta e negli altri ristoranti e hotel della riviera del lago, come la Palma di Stresa e l’Atlantic di Arona dove è stato dopo il diploma. “In quegli anni ho incontrato persone straordinarie come Giorgio Perin – ricorda -, che mi ha insegnato tantissimo e a cui sono sempre legato da un’amicizia sincera che considero un grande dono”.
Una carriera ai fornelli, anche in carcere
Alla sua prima gastronomia del 1986, ne sono seguite altre due a Borgo Ticino e Arona e poi, nel 2010, Moia ha deciso di dare vita all’Hostaria Grotta azzurra di Gattico, dove oggi è rimasto il fratello Roberto. “Ho voluto il termine “hostaria” perché contiene in sé il senso dell’ospitalità – spiega Moia -. Per me è sempre stato un elemento centrale della cucina e del rapporto con i clienti: chi viene da te a mangiare deve sentirsi accolto”.
Non è così solo con gli avventori. Per quatto anni ha insegnato cucina nel carcere di Verbania, tenendo corsi insieme con altri chef. “E’ stata un’esperienza che mi ha regalato tanta soddisfazione – racconta -. I detenuti sono persone che hanno sbagliato, sono stati giudicati e stanno scontando una pena: non sono io a doverli valutare di nuovo. Perciò mi sono sempre avvicinato a loro con fiducia e questo atteggiamento è stato ricambiato con risultati e considerazione. Ho ricevuto gli auguri di Natale da un giovane di origine marocchina: una volta liberato ha voluto farmi sapere che lavorava come cuoco specializzato nei primi piatti, come gli avevo suggerito io. Bellissimo”.
In vacanza con tutto lo staff
Da quel 1° ottobre 1978 che considera l’inizio della sua carriera di chef, Ferdinando Moia si è sperimentato in molte esperienze diverse: ha tenuto lezioni alla scuola Vco Formazione e show cooking per alcune marche di riso e pasta, si occupa della ristorazione a bordo delle navi della Navigazione del Lago Maggiore e ha fornito la consulenza per rilanciare una mensa a Novara. Poi, tre anni fa, è arrivato “Paleosette”, il ristorante gluten e lattosio free: “La mia soddisfazione più grande è stato sentire un bambino che diceva alla mamma “Davvero posso mangiare anche io tutto quello che c’è scritto sul menù come fate voi? Mi sembra un sogno”. – racconta Moia -. Per me è stata una gioia inimmaginabile”.
Il ristorante aronese ha uno staff di sette persone: nelle scorse settimane sono andati tutti in vacanza insieme a Catania, per tre giorni, invitati dallo chef Ferdy, come è chiamato dai suoi. Fa parte della squadra Giacomo, un ragazzo con la sindrome di Down: “E’ stato il primo a essere assunto – sorride Moia -, lavora in sala ed è molto bravo e apprezzato da noi e dai clienti. Qui c’è posto per tutti e ognuno trova il suo spazio: questo è il ristorante che sognavo”.